I nostri lettori ci segnalano l’uso transitivo di un quartetto di verbi di movimento, costituito da due coppie di opposti, uscire/entrare e salire/scendere con il significato di ‘far uscire/entrare, portar fuori o dentro’, ‘far salire/scendere, portar su o giù’.
A dire il vero i membri della seconda coppia, nel significato di ‘percorrere in salita’ e ‘percorrere verso il basso’ hanno anche un uso transitivo: si possono salire le scale o il versante di una collina e scendere i gradini o un pendio.
Anche entrare ha avuto, almeno in passato, specie in poesia, la possibilità di un uso transitivo in cui l’oggetto è il luogo dove si entra: un sentiero per Ariosto nell’Orlando Furioso, un bosco per Carducci nei Levia gravia, una casa per Pascoli nei Poemi conviviali.
L’uso transitivo dei verbi in questione è registrato in alcuni dizionari di lingua: il GRADIT lo testimonia, con la glossa di meridionalismo, per tutti e quattro i verbi; per salire e scendere aggiunge anche la notazione “popolare”. Il Sabatini-Coletti 2008 registra l’uso transitivo solo per scendere e salire, con la glossa di regionalismo, senza specificare l’area di riferimento.
Nel Devoto-Oli 2014 troviamo una situazione analoga a Sabatini-Coletti: la transitività è registrata solo per scendere e salire, ma con la differenza che scendere per “tirare giù” è annotato come regionale, mentre salire per “portare qualcosa in una posizione più alta, mettere su” come meridionale e popolare.
ZINGARELLI 2016 registra come meridionalismi scendere e uscire, ma non entrare e salire, naturalmente nei sensi che qui si trattano. Il Vocabolario Treccani online fa la stessa cosa, ma glossa scendere e uscire genericamente come regionalismi.
La posizione dei lessicografi contemporanei non lascia dubbi: per quanto di impiego tanto rilevante da essere registrato (pur con le differenze segnalate), nessuno di questi usi viene “promosso” al livello della lingua comune.
Abbiamo quindi già la risposta. Ma l’alta frequenza delle domande, l’intensificarsi delle richieste negli ultimi tempi, le argomentazioni e le riflessioni da parte di chi ci scrive (sia quelli che condividono l’uso della modalità, sia quelli che lo stigmatizzano o che comunque lo considerano estraneo) crediamo che meritino qualche approfondimento.
Cerchiamo di trarre qualche indicazione dall’analisi delle domande; in primo luogo la provenienza: oltre il 60% delle domande proviene dal nord della penisola, in maggioranza dalla Lombardia e in particolare da Milano e provincia, poi dal Piemonte e dal Veneto, una soltanto dall’ Emilia Romagna. Quasi il 27% delle domande proviene da sud, soprattutto dalla Sicilia e in maggioranza da Palermo. Il centro ha pochissime richieste: una da Firenze, una da Roma, una dalla provincia di Frosinone e una da quella di Chieti.
L’interesse per questo fenomeno si configura quindi come una contrapposizione tra nord e sud. In alcuni casi, nelle richieste che vengono da nord si fa esplicito riferimento a un uso genericamente meridionale e anche, più raramente, specificamente siciliano; altre volte chi pone la domandasi dichiara di origini meridionali, mentre in molti casi le stesse origini sembrano suggerite dal cognome.
Per misurare visivamente il peso di questa contrapposizione possiamo ricorrere a ALIQUOT – L’Atlante della Lingua Italiana QUOTidiana che ha chiesto agli utenti della rete di rispondere a questa domanda: “Nella tua città o nel tuo paese frasi come scendimi le chiavi o esci il cane [come] sono?
La prima immagine riporta la risposta “inaccettabili e non usate”, la seconda la risposta “accettabili e usate”: l’Italia si mostra decisamente divisa in due.
In alcune richieste che ci sono giunte il conflitto si presenta irrimediabile e forse non è casuale che a esprimersi in questi termini sia un “affrancato dal dialetto”:
Da quando sono tornato a vivere a Palermo dopo tanti anni trascorsi per lavoro a Milano, mi dà un enorme fastidio sentire dire da tutti espressioni come “esci la carne dal frigo, esci il cane, scendi la bambina da casa, scendi il cane, sali la frutta, sali il pesce, etc.” Mi hanno detto che queste espressioni sono prese dal dialetto siciliano e tradotte in italiano dove però non esistono!
Sicuramente questa reazione in negativo contro le proprie radici è motivata dalla stigmatizzazione che denunciano altri utenti: ormai scendi o esci il cane… è diventato un tormentone di dubbio gusto. È interessante però notare che, nella maggioranza dei casi, – sia un settentrionale o un meridionale a parlare – si chiede all’Accademia conferma della norma italiana, la cui certezza pare messa in discussione.
Sembra quasi che la frequenza, ma anche l’uso da parte di persone colte (“per chiedere ad un allievo di prendere il libro dallo zaino, un insegnante di origine meridionale si è espresso con la formula esci il libro“; “Mi sono accorto che tutti, inclusi i laureati, usano espressioni tipo quelle citate”) lascino presagire (o temere) una possibilità di affermazione di questi verbi, o di alcuni di essi, come transitivi.
La forma al centro della questione è uscire: degli esempi forniti dai nostri utenti il 65% è con uscire, il 20% con scendere, circa il 13% con salire e meno del 2% con entrare. Si può scendere qualcosa o qualcuno da casa, dallo scaffale o dal seggiolone, mentre la cosa (quasi sempre un alimento o una bevanda) si escesoprattutto dal frigo(rifero), solo in quattro esempi dal garage (e trattasi dell’auto). La frase che incarna lo stigma (esci il cane) è proposta solo sei volte.
Si salgono e si scendono soprattutto cose pesanti (pacchi o valigie), mentre si entrano solo il divano e i cuscini in caso di pioggia. Sembra che la modalità in cui questi usi ricorrono più frequentemente sia l’imposizione (oltre la metà degli esempi sono in forma imperativa) o la richiesta.
Come fanno notare alcuni utenti, l’uso di questi verbi in forma transitiva sarebbe “economicamente vantaggioso”, visto che in italiano comune e colloquiale le frasi equivalenti sono tirare la carne o il burro fuori dal frigo o la lingua dalla bocca, metter fuori la zampa dalla gabbia, portar fuori il cane e dentro i cuscini, portare o tirare su il pacco e giù le valigie.
Se poi dal registro colloquiale ci spostiamo a quello formale siamo costretti a usare una costruzione con fare o verbi come estrarre e introdurre (tanto alti da risultare spesso inadeguati) e innalzare, alzare, issare, sollevare e abbassare o calare sicuramente non adeguati in tutti i contesti.
Inoltre nella prima metà del Novecento, ci sono stati autori, anche non meridionali, che, almeno per uscire e scendere, hanno usato questa costruzione: riguardo a uscire possiamo citare Beppe Fenoglio (Pioggia e la sposa, 1952: “il bambino non deve avercela con me perché l’ho uscito con quest’acqua) e Italo Calvino (Impiccagione di un Giudice, 1949: “un avvocato … aveva uscito di tasca un giornale”); per scendere siamo in grado di aggiungere a Palazzeschi e Arpino, riportati dal Vocabolario Treccani, Lorenzo Viani (Ritorno alla patria, 1929: “I vecchi affissavano pensosi il corteo […].
Scendevano il primo morto giù per i ravaneti silenziosi nella loro bianchezza lunare”) o ancora Fenoglio (Il gorgo, 1954: “A questo punto lui si voltò, si scese il forcone dalla spalla e cominciò a mostrarmelo come si fa con le bestie feroci”). Queste citazioni possono incuriosire per la toscanità di Palazzeschi e Viani, ma soprattutto per il legame comune di Fenoglio, Calvino (gli unici che usano anche uscire) e Arpino con il Piemonte.
A questo proposito possiamo ricordare che in francese sortir e nel patois valdostano sortre danno luogo alla stessa possibilità: si può dire sortrele mèinà, un malado, un tsin così come sortir les enfants, un malade, un chien(cfr. A. Chenal, R. Vautherin, Nouveau dictionnaire de patois valdôtain, Aosta, Imprimerie Marguerettaz, 1968-1972).
In realtà si tratta di una possibilità che, per altre forme verbali, riguarda un’area ben più estesa del sud della penisola: Vittorio Coletti scrive sul n. 51 della “Crusca per voi” (2015, II) che tornare “nel senso di restituire o ricondurre qualcuno o qualcosa” (tornami la penna) “è attestato anticamente (in Boccaccio, perfino nel Bembo), ma in tempi recenti è proprio quasi solo degli italiani del nord est” (p. 22).
E avanzare è transitivo nel senso di ‘lasciare, serbare’ (ho avanzato del prosciutto) almeno in area lombarda; rimanere in analogo senso (ho rimasto del pane) è romagnolo e suscita perplessità in parlanti meridionali (“Vivo in Romagna ma ho origini meridionali. In questa zona dell’Italia si sente dire ho rimasto, ma essendo convinta che l’ausiliare del verbo rimanere sia il verbo essere, chiedo cortesemente a Voi la conferma”) e incertezza nei parlanti romagnoli (“nel gergo romagnolo, si utilizza molto il verbo ho rimasto, anche se grammaticalmente è un errore.
Volevo sapere se, siccome questo modo di dire fa parte ormai del nostro lessico quotidiano, si può utilizzare lo stesso oppure no”).
Cosa impedisce al fenomeno di essere accolto nell’italiano comune? Tornando al nostro quartetto di partenza, risulta che è uscire l’oggetto della diffusione virale in rete, probabilmente perché se ne avverte, in questo accomunato al suo opposto, il grado maggiore di contravvenzione alla norma.
Abbiamo anche visto che entrare e uscire trovano più resistenza a essere accolti nella lessicografia rispetto a scendere, attestato invece in tutti i dizionari considerati e, con salire, considerato anche popolare, ossia slegato dalla dimensione territoriale.
Questi due ultimi verbi ammettono anche in lingua la possibilità di un uso transitivo e quindi, mentre uscire ed entrare prevedono tassativamente l’ausiliare essere, richiedono l’ausiliare avere: sono salito da te e sono sceso all’alba, ma anche ho salito la gradinata e ho sceso le scale. Salire e scendere in sostanza avrebbero già in lingua pronto il costrutto in cui accogliere l’eventuale passaggio successivo; uscire ed entrare no.
Dobbiamo quindi deludere i sostenitori dell’ammissione di uscire transitivo a livello di lingua; proponiamo però, al solo prezzo dell’uso di una preposizione, di cominciare a uscire con il cane: dopo tutto è un amico.
Pubblicato sul sito ufficiale dell’Accademia della Crusca
A cura di Matilde Paoli
Redazione Consulenza linguistica
Accademia della Crusca