Per il 25 aprile, raccontiamo la vita di un uomo di fede, diventato scrittore, che diede un nuovo punto di vista sulla Resistenza…

Don Luisito Bianchi nacque a Vescovato, in provincia di Crema, il 23 maggio 1927 e venne ordinato sacerdote il 3 giugno 1950.

Laureato in scienze politiche a Milano, divenne insegnante presso il Seminario vescovile (1950-1951), missionario in Belgio (1951-1955), vicario a S. Bassano in Pizzighettone (1956-1958), quindi ancora insegnante in Seminario (1964-1967) prete operaio ad Alessandria (1967-1971) e anche inserviente in ospedale, prima di assumere l’incarico di cappellano dell’abbazia di Viboldone, alle porte di Milano, che ricoprì sino alla morte.

Fece il suo debutto con Salariati (1968), uno studio sul salariato della cascina nel cremonese, seguirono Come un atomo sulla bilancia (1972), sui suoi tre anni come prete operaio, Dialogo sulla gratuità (1975), Gratuità tra cronaca e storia (1982). Dittico vescovatino (2001), Sfilacciature di fabbrica (1970) e Simon Mago (2002),

Ma il capolavoro di don Bianchi rimane La messa dell’uomo disarmato (1989), un romanzo sulla Resistenza, che si snoda dall’inizio della seconda guerra mondiale fino agli anni Sessanta.

Il protagonista è Franco, novizio in un monastero benedettino, che lascia la vita monastica quando il suo maestro, don Placido, viene trasferito a Roma.

Tornato nella tenuta dei genitori chiamata la Campanella, il giovane seminarista ritrova il fratello Piero, giovane medico ricco di profonda generosità verso il prossimo ma che ha abbandonato la pratica religiosa.

Dopo l’armistizio dell’otto settembre, Piero decide di arruolarsi tra i partigiani che militano nelle montagne vicino alla Campanella.

Tra di loro ci sono Rondine, un uomo amante della compagnia dei defunti più di quella dei vivi, che si distinguerà nella lotta partigiana per dare sepoltura ai morti di entrambe le parti, il giovanissimo Balilla, il monaco don Luca, Stalino, venditore ambulante diventato partigiano, che salverà il segretario del fascio dal pericolo di ritorsioni e il Professore, un sacerdote ritornato allo stato laicale che, dopo una lunga attività nella lotta antifascista, morirà in un campo di concentramento.

Intanto il monastero benedettino protegge i partigiani ospitando i feriti e nascondendo i fuggitivi, per questo l’abate sarà fucilato dai tedeschi, e anche la Campanella diventerà rifugio per i partigiani feriti o fuggiaschi.

Franco, che non partecipa direttamente alla lotta partigiana, continua a lavorare la terra, e per questo si sentirà in colpa, considerandosi un vile contro l’eroismo dimostrato dalle persone a lui vicine.

Alla fine, dopo la morte dei genitori e dei mezzadri Toni e Cecina e dopo aver venduto la Campanella, Franco rientrerà nel monastero alla vigilia del Concilio Vaticano secondo, e con il sostegno di don Placido, diventato abate, capirà di dover mantenere viva la memoria dei tanti atti eroici compiuti nei mesi della Resistenza, accompagnato in questo da Giovannino, il figlio di Stalino, anch’egli novizio del monastero benedettino.

Tra gli ultimi lavori di Bianchi sono da ricordare Monologo partigiano sulla Gratuità (2004), degli appunti per una storia della gratuità del ministero nella Chiesa, diverse raccolte di poesie tra cui Vicus Boldonis terra di marcite, Sulla decima sillaba l’accento, In terra partigiana, Parola tu profumi stamattina e Forse un’aia.

Luisito Bianchi morì a Melegnano il 5 gennaio 2012.