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Uno scrittore che visse, tra mille metamorfosi, la storia del Novecento…

Salvator Gotta nacque il 18 maggio 1887 a Montalto Dora, presso Torino, da Vincenzo, magistrato, e da Luigia Pavese.

La famiglia apparteneva alla buona borghesia locale e Gotta ben presto si trasferì a Ivrea, sede del tribunale poi. Iscrittosi alla facoltà di giurisprudenza dell’Università di Torino, entrò in contatto con l’ambiente intellettuale cittadino e, laureatosi in giurisprudenza e in lettere, s’impiegò presso un avvocato di Ivrea, iniziando nel frattempo l’attività di scrittore con la collaborazione a vari periodici, come Il Marzocco e La Lettura.

Il suo esordio in volume fu la raccolta di novelle Prima del sonno (1909), pubblicata a proprie spese presso la casa editrice Baldini e Castoldi, con la quale strinse un duraturo sodalizio, continuato fino al 1945.

Nel marzo 1913 sposò Adelina Cagliero, dalla quale, nel gennaio 1916, ebbe l’unico figlio, Massimo e, durante la Grande Guerra, si arruolò volontario nella Croce rossa, per poi divenire, nella primavera del 1917, sottotenente di artiglieria, infine fu congedato con il grado di tenente e una medaglia d’argento al valore.

A partire dal 1920 Gotta si dedicò esclusivamente alla letteratura, co, un romanzo l’anno; la sua fama si consolidò ulteriormente con l’avvento del fascismo, al quale aderì con entusiasmo.

Membro della Società degli autori, nel 1925 partecipò ai lavori della commissione che preparò la nuova legge sul diritto d’autore e l’anno successivo pubblicò il suo primo romanzo per ragazzi, Piccolo alpino, sulle vicissitudini di un bambino, Giacomino Rasi, nel corso della Grande Guerra.

Gli anni Trenta furono quelli della grande popolarità dello scrittore, dovuta anche alla pubblicazione di alcuni romanzi su rivista prima che in volume.

Per lungo tempo collaboratore del Corriere della sera, Gotta nel 1933 si trasferì con la famiglia da Ivrea a Milano e vi rimase fino al 1943, quando, per sfuggire ai bombardamenti alleati, si stabilì definitivamente a Portofino, località, dove aveva trascorso tutte le estati a cominciare dal 1925.

Gotta aderì alla Repubblica sociale italiana, circostanza che gli attirò, da parte degli ambienti fascisti, accuse di tradimento e la proibizione di far circolare i suoi libri.

Intanto dal 1940 lo scrittore aveva cominciato a raccogliere i suoi romanzi in cicli, come Ottocento (1940) La nostra passione (1941) e Il sole sui campi (1942) dove, negli anni cruciali immediatamente precedenti la seconda guerra d’indipendenza, s’intrecciano le vicende di personaggi immaginari e storici, come Costantino Nigra, Napoleone III, l’imperatrice Eugenia, la contessa di Castiglione.

Il Risorgimento fu una delle maggiori fonti d’ispirazione del Gotta anche nel secondo dopoguerra, come momento centrale dell’ambizioso La saga dei Vela, pubblicato nel 1954, nel quale l’autore raccontava cento anni di vita di una famiglia italiana.

Dagli anni Sessanta la fama di Gotta cominciò progressivamente a declinare, così lo scrittore rallentò la produzione, soprattutto narrativa, ma scrisse alcuni testi divulgativi degli anni Settanta, come L’avventuroso Murat (1971) o la rubrica di posta dei piccoli lettori tenuta sul settimanale Topolino.

L’ultima opera significativa di Gotta, Tre maestri: Fogazzaro, Giacosa, Gozzano, edita nel 1975, è giocata sul filo della memoria, in una commossa rievocazione di alcune figure fondamentali nella sua formazione intellettuale.

Lo scrittore morì a Rapallo il 7 giugno 1980.