I mulini, un simbolo importante nello sviluppo di ogni civiltà, indispensabili per la produzione della farina, ingrediente del pane, principe degli alimenti.

Ma anche visti come immagine quasi fiabesca, coprotagonisti di molte favole, simboli vincenti di famosi spot pubblicitari.

Disseminati nella campagna insubre, ci ricordano un passato non molto lontano.

La zona di Abbiategrasso è abitata dall’età del bronzo, come testimoniano diversi ritrovamenti archeologici, che fanno risalire le prime tracce alle civiltà di Golasecca e della Scamozzina, dal nome della necropoli rinvenuta nella omonima cascina di Albairate.

I Romani hanno lasciato diversi segni della loro colonizzazione, avvenuta tra il I e il IV secolo, e il reticolo dei campi centuriati ancora oggi si può intravedere dall’alto, mentre nel Medio Evo vide la fondazione del regno Longobardo, con capitale Pavia, e numerosi insediamenti longobardi vennero collocati lungo l’antica strada mercatorum, la via mercantile che collegava il Po al lago Maggiore e alle Alpi, e costeggiava la valle del Ticino. Infatti ancora oggi le località di Coronate, Falla Vecchia (Fara Vetula), Carpenzago, Cascinazza recano tracce della loro presenza.

Fu nel basso Medio Evo e nel Rinascimento che lo scavo del Naviglio Grande, progettato inizialmente come un fossato allo scopo di difendere la provincia dai Pavesi e dal Barbarossa, venne ampliato e prolungato fino a Milano, e consentì di aumentare il numero delle terre coltivate, creando la meravigliosa rete irrigua che ancora oggi è fondamentale per il lavoro dei campi.

Una seconda conseguenza fu la costruzione di una serie di mulini nella zona del Naviglio, di cui tre sono ancora oggi visibili ad Abbiategrasso e nei suoi dintorni.

Il mulino Bava si trova all’uscita della città, al confine fra il tessuto urbano e la campagna coltivata.

L’edificio, parzialmente abbandonato, è dalla struttura doppia e cela ai passanti le antiche pale dei due distinti mulini affiancati che sfruttavano l’acqua della medesima Molinara, alimentata da una risorgiva.

Il luogo è al confine fra il parco agricolo Sud Milano e il parco del fiume Ticino che scorre poco lontano, mentre all’interno, uno stretto ponticello accoglie i meccanismi di gestione delle chiuse e mette in comunicazione i due mulini, di cui uno è in stato di totale abbandono.

Una data incisa sul parapetto del ponticello ma ormai illeggibile non ci consente di dire con precisione quando venne costruito il mulino, ma i proprietari attuali, che si tramandano da generazioni i segreti di quest’attività, amano raccontare che il progetto originario del sito possa essere ricondotto all’opera di Leonardo da Vinci.

Il corso d’acqua, detta roggia Molinara, scorre in piano, e quindi si suddivide in due derivazioni separandosi grazie alla particolare curvatura progettata, come pare, da Leonardo.

Il mulino è un esempio tipico di quelli della pianura lombarda, utilizza la cosiddetta ruota di Poncelet con ruote verticali in ferro e pale ricurve, detta anche a cucchiaio, tipica dei piccoli corsi d’acqua o di quelli a regime torrentizio poco profondi, dove la pala a cucchiaio serve per pescare l’acqua dal fondo e portarla sulla ruota in modo che, incanalata nello stretto condotto, colpisca le pale lateralmente e azioni la ruota.

Questi mulini sono comparsi nel territorio del magentino-abbiatese a partire dal XI secolo d.C. e hanno usato i corsi d’acqua di gran parte del territorio lombardo e prima dello sviluppo industriale erano utilizzati per la macina dei cereali e la forgiatura dei metalli.

Durante la rivoluzione industriale hanno fornito forza motrice ai numerosissimi opifici sorti lungo i principali corsi d’acqua, ma successivamente le nuove fonti energetiche hanno condannato gli antichi mulini all’abbandono.

Oggi è ancora possibile vederne i resti che conservano ancora parte delle splendide ruote che tanto grano hanno macinato, ma è molto raro incontrare mulini ancora funzionanti.

In una zona centrale di Abbiategrasso si trova il Mulino Nuovo, che sorge sulla roggia Cardinala, ai margini sud-ovest dell’abitato.

Questo mulino è menzionato in alcuni documenti del 1440, come proprietà dei milanesi De Fossato ed è dotato di quattro paia di mole, due delle quali venivano utilizzate per la macina del frumento, le altre due per quella di cereali minori.

In seguito fu acquisito nel 1587 dalla Mensa Arcivescovile di Milano e il mulino a tre ruote verticali rimase di proprietà di questo ente sino al 1890 fino a quando fu acquistato dagli attuali proprietari.

Tra l’Ottocento e il Novecento fu attrezzato per la pilatura del riso ed è tutt’oggi in attività.

A Castano Primo c’è il Mulino del Ponte, che è già esistente da un documento del 1474, mentre alla sua destra scorre la Roggia Molinara della quale sono ancora visibili due ruote che servivano a muovere le macine che trasformavano il grano in farina.

Su una parete si vedono una scritta e una data risalenti all’anno 1877, probabilmente l’ultimo rifacimento del mulino.