Donna controcorrente, Paola Drigo nei suoi lavori raccontò tematiche difficili per il mondo del primo Novecento letterario italiano.

Paola Drigo nacque a Castelfranco Veneto, in provincia di Treviso, il 4 gennaio 1876 e frequentò il Ginnasio Liceo Antonio Canova di Treviso, poi alla morte del padre nel 1888 la famiglia si trasferì a Venezia, dove Paola completò gli studi.

Nel 1898, a ventidue anni, sposò l’agronomo padovano Giulio Drigo, ricco possidente e dopo qualche anno i due sposi si trasferirono a Mussolente.

Alla morte del marito nel 1922 la Drigo iniziò a occuparsi dell’andamento degli affari di famiglia e nel 1937 si trasferì a Padova, dove morì il 4 gennaio 1938.

La Drigo fece il suo debutto con la novella Ritorno pubblicata su La lettura, poi seguirono La fortuna pubblicata su Nuova Antologia, e La barba di Durer su Illustrazione italiana.

Nel 1913 l’editore Treves riunì le novelle e le pubblicò sotto il titolo di La fortuna.

Sempre con l’editore Treves la Drigo pubblicò altri tre dei suoi cinque lavoro, un’altra raccolta di racconti, Codino, il romanzo autobiografico Fine d’anno e il romanzo Maria Zef, mentre la raccolta di novelle La signorina Anna, usci nel 1932 per l’editore vicentino Ermes Jacchìa.

La narrativa di Paola Drigo è legata a un post-naturalismo di Verga, ma anche Fogazzaro, visto in chiave regionale, con la rappresentazione di personaggi umili, spesso femminili, di vinti e di offesi, di ambienti poveri e desolati, dominati da forze elementari raccontati con grande vigore.

Le prime opere risentono di ricerche naturalistiche, soprattutto per la descrizione di ambienti e in Fine d’anno sono evidenti le note autobiografiche.

Il lavoro più noto della Drigo resta il romanzo Maria Zef nel quale l’impostazione naturalistica temperata da un sentimento di pietà, conduce con grande efficacia l’ineluttabile svolgersi della storia di Maria, orfana fin da bambina, che viene sedotta dallo zio e lo uccide quando si rende conto che anche la sorella minore Rosa sta per avere la stessa sorte, in un paesaggio carnico di grande desolazione e particolarmente aspro.

Maria Zef resta uno dei romanzi più belli della narrativa femminile italiana del Novecento e al suo apparire il tema svolto in una condizione di grave disagio sociale non mancò di destare un certo scalpore.