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“sei ancora quello della pietra e della fionda uomo del mio tempo…”

Se è tristemente vero che la violenza non ha confini, è altrettanto vero che sicuramente ha dei bersagli privilegiati: le persone deboli, fragili, in primis le Donne.

Noi abbiamo la grande fortuna di vivere in una parte del mondo in cui le istituzioni condannano fermamente gli atti violenti; cionondimeno purtroppo ancora accadono.

Durante la pandemia, da cui sfortunatamente non siamo ancora usciti, le azioni violente verso il personale medico e sanitario erano inizialmente diminuite.

La tregua è durata poco: il recente episodio di aggressione al PS di Palermo ci ha fatto ripiombare in una sconfortante realtà.

Se percorriamo la nostra bellissima penisola pressochè ovunque a volte si continua a percepire un incomprensibile clima diffidente, quando non ostile, verso il personale sanitario in particolare verso le Donne Medico e le Professioniste Sanitarie.

La creazione dell’Osservatorio Nazionale sulla sicurezza degli esercenti le professioni sanitarie e sociosanitarie è un buon inizio ma non basta.

Se la violenza fisica verso le Donne in Sanità è quella più eclatante, la punta dell’iceberg, non è però l’unica esistono altri tipi di violenza.

Le donne continuano ad avere meno accesso alla carriera, sono costrette spesso a rinuciarvi in quanto, mancando sostegni alla maternità e alla genitorialità hanno sulle loro spalle l’impegno familiare e la cura dei figli e /o degli anziani, e sono costrette a rimandare sempre più in avanti la programmazione della maternità se non addirittura a rinunciarvi.

Quando non ci rinunciano vengono colpevolizzate perché per i periodi stabiliti per legge sono assenti dall’attività lavorativa e in mancanza di programmazione e di politiche adeguate, l’aggravio del lavoro ricade su tutti gli altri.

In un Paese in cui la scarsa percentuale di Donne che lavorano e la bassa natalità   costituiscono importanti elementi di arresto della crescita sociale ed economica è imperativo rovesciare il paradigma secondo cui avere un figlio rappresenta un problema.

Un figlio è sempre una ricchezza per la collettività e non può e non deve costituire alcuna penalizzazione per l’attività professionale!

E’ necessario adottare specifiche politiche attive del lavoro per incrementare il lavoro giovanile e femminile, investire in infrastrutture sociali e nella progressiva attivazione dei servizi ad essi connessi al fine di liberare il tempo delle donne medico e Professioniste Sanitarie: scuole a tempo pieno, asili, strutture per anziani per una popolazione che già oggi al 16 per cento supera i 70 anni.

Ringraziamo il nostro Segretario Confederale Luigi Sbarra per aver proposto con profonda e intelligente lungimiranza che a tutte le Donne lavoratrici, comprese le Donne in Sanità, sia garantito un anno di contribuzione in più per ogni figlio!!

Inoltre, le Donne Medico in Italia (dati FNOMCEO) attualmente sono il 54 % degli Iscritti, però pochissime di queste rivestono ruoli apicali.

E’ necessario pertanto introdurre la parità di genere e le quote al 50% per i ruoli apicali nella dirigenza medica a tutti i livelli sia negli ospedali che nei territori, e nella medicina territoriale.

La Cisl medici convinta da sempre che ogni tipo di violenza: fisica, verbale, psicologica, culturale, economica, rappresenti non solo un vulnus all’umanità ma una grande battuta d’arresto verso il progresso e la coesione sociale, continuerà a proporre correttivi e soluzioni progettuali a partire dalla contrattazione collettiva strumento fondamentale per ridurre il divario di genere in relazione alle opportunità di crescita, implementare la tutela della maternità, migliorare la condivisione dei tempi di vita e di lavoro, il benessere lavorativo e contrastare ogni tipo di diseguaglianza e ogni tipo di violenza verso le Donne Medico e Professioniste Sanitarie.

Dr.ssa Annalisa Bettin

Coordinamento Nazionale Donne, Pari Opportunità, Politiche di genere Cisl Medici