Premio Nobel nel 1961, Ivo Andric nella sua opera raccontò la fine della Jugoslavia del primo Novecento, sempre guardando al futuro…

Ivo Andric nacque il 9 ottobre 1892 a Dolac, un piccolo villaggio vicino a Travnik, centro dell’amministrazione ottomana in Bosnia, unico figlio di Ivan Antun, bidello in una scuola elementare di Sarajevo, e Katarina Pejić.

Ivan Antun morì quando Ivo aveva due anni, lasciando soli la moglie e il figlioletto e ben presto Katarina decise di affidare il piccolo Ivo alla sorella, Ana, che viveva col resto della famiglia materna a Višegrad.

A Višegrad lo scrittore cominciò a frequentare la scuola elementare e a stringere le prime amicizie, di quel periodo Andric ricorderà i giochi tradizionali fra i ragazzini e le leggende che possiamo ritrovare nel Ponte sulla Drina.

Nell’autunno del 1902, dopo aver terminato la scuola elementare con il massimo dei voti, Andric si trasferì a Sarajevo e s’iscrisse alla Prva gimnazija, la scuola superiore più rinomata della Bosnia ed Erzegovina.

Durante gli studi liceali affinò la sua conoscenza del tedesco e cominciò a studiare italiano e francese per leggere in lingua originale le opere dei maggiori letterati europei, fra le letture da lui più amate figuravano i Versi incatenati di Maksim Gor’kij, divenuti un costante rifugio e una fonte d’ispirazione.

Nel giugno del 1912 Andric ricevette il diploma di maturità e s’iscrisse all’Università Francesco Giuseppe I di Zagabria, grazie ad una borsa di studio ottenuta da un’associazione culturale di Sarajevo, dove frequentò per due semestri i corsi di letterature slave e di storia.

L’ambiente universitario zagabrese risultò limitante e soffocante per Andric che, grazie ad Alaupović, si trasferì all’Università di Vienna nel 1913, dove frequentò i corsi di filologia slava. Ben presto, però, fu costretto ad abbandonare anche la capitale austriaca per motivi di salute, e si trasferì Cracovia alla prestigiosa Università Jagellonica, dove seguì corsi di storia dell’arte, grammatica paleoslava, filosofia e persino di buddismo.

Per aver aderito al movimento irridentista serbo, durante la prima guerra mondiale lo scrittore fu condannato al carcere e al confino.

Terminato il conflitto, Andric intraprese la carriera diplomatica, soggiornando in diversi paesi europei, la prima destinazione diplomatica fu a Roma, presso il Vaticano, a cui seguirono Bucarest e Trieste nel 1922, poi si trasferì a Graz, a Marsiglia, a Parigi, a Madrid, a Bruxelles, a Ginevra, in un percorso che gli permise di sviluppare, parallelamente alla carriera diplomatica, una prestigiosa carriera letteraria.

Tra il 1939 e il 1941 fu ambasciatore a Berlino, ma tornò a Belgrado negli anni della guerra, vivendo ritirato e scrivendo capolavori come La cronaca di Travnik, affresco dell’età napoleonica, Il ponte sula Drina e La signorina.

Dopo il Nobel nel 1961, per Andric furono gli anni dei riconoscimenti pubblici ma anche di crescente solitudine per la scomparsa della moglie Milica Babić, costumista al Teatro Nazionale di Serbia, nel 1968.

Ivo Andric morì a Belgrado il 13 marzo 1975 e, dopo la sua morte, fu pubblicata l’opera omnia, istituita la sua fondazione e aperto il museo nell’appartamento dove viveva.