Stringozzi alla chitarra

Una pasta leggendaria, dalla forma curiosa e con una storia davvero strana, che parte nel cuore del Rinascimento.

Tutto cominciò all’inizio del Cinquecento, quando in Abruzzo e in modo particolare nell’area Frentana, presso le cucine delle famiglie nobiliari, si preparava una pasta che era chiamata in dialetto con il nome di Maccheroni a lu Rentrocele.

Questi maccheroni erano realizzati con la farina di grano duro, della varietà Saragolla, che nella seconda metà del Settecento fu sostituita dalla varietà Solina.

Dall’impasto per la pasta, ricavato dalla farina impastata con gli albumi delle uova, si stendeva una serie di sfoglie dello spessore di 3 mm e su di essa si passava un mattarello di ferro dentellato detto il Ferro per maccheroni e Ruzzolo poi, facendo pressione sulla sfoglia si ottenevano delle tagliatelle larghe 5 mm, chiamate, per questo motivo, Maccheroni a lu Rentrocele, nato dal movimento rotatorio compiuto dall’attrezzo sulla sfoglia per tagliarla.

Alla fine del Seicento si raccontava di un attrezzo cilindrico in ferro, noto in alcuni paesi alle pendici del Gran Sasso d’Italia del versante teramano, che era a forma di torchietto e alla base aveva una trafila dove venivano introdotti pezzi di massa, spinti poi da un ferro dotato di un manico che lasciava fuoriuscire dei maccheroncini, sempre chiamati Rentrocele.

Intorno alla seconda metà del Settecento fu inventato il Maccharunare, formato da un telaio di legno rettangolare con sopra fili di rame oppure di ottone, distanziati tra loro 3mm, allo scopo di poter preparare questa pasta all’uovo.

Il Maccharunare si diffuse rapidamente nell’area pedemontana abruzzese, ma nel 1840 non era ancora conosciuto nell’Aquilano.

Nell’area vestina del Pescarese, il Maccharunare aveva il nome di Carrature, derivato da una deformazione del dialetto abruzzese della parola francese carrer, cioè squadrare regolarmente, arrivata con la presenza francese in Abruzzo nella seconda metà del Settecento.

Nei documenti sulla dote di una sposa archiviati nel 1779 a Casoli, è citato un maccharonaro, mentre nel 1871 un Carrature è nella dote di una sposa di Penne.

Il Maccharunare divenne cosi utile per confezionare i maccheroni ottenuti con la farina di grano duro impastata con acqua e uova, poi detti i maccharuni mezz’acque e mezz’ove.

L’impasto ottenuto era spianato con un matterello fino allo spessore di 2 mm, per ottenere dei maccheroni leggermente quadrati, poi si tagliavano delle sfoglie, in abruzzese le pettele, della stessa grandezza del Maccharunare, da stendere singolarmente sui fili del Maccharunare.

I maccheroni si tagliavano con una leggera pressione del mattarello e poi si passava un dito sulla sfoglia tagliata alla base del Maccharunare per far scendere la pasta tagliata.

Alla fine dell’Ottocento, il Maccharunare divenne noto con il nuovo nome di Chitarra, come informa il Vocabolario dell’uso abruzzese di Gennaro Finamore del 1893, dove c’è il nome di Catarre o Chetarre, poiché i fili stesi sul telaio assomigliano alle corde di una chitarra.

Il cambiamento del nome vide anche il cambio degli ingredienti per realizzare i Maccheroni alla chitarra, che oggi è un impasto di farina di grano tenero, uova e sale, tanto da assumere il nuovo nome dialettale di maccharune tutt’ove.

I condimenti tipici dei Maccheroni alla chitarra sono un ragù di carni di maiale, agnello e vitello, o un ragù cui sono aggiunte deliziose polpettine di carne di vitello.