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All’alba di un nuovo decennio, i mondiali di calcio arrivarono in Sudafrica, che si fece carico dell’organizzazione di una competizione ormai leggendaria.

La Fifa di Blatter decise di portare la coppa del mondo per la prima volta nel continente africano e la nazione di Nelson Mandela, storica icona della lotta all’apartheid, fu scelta come paese ospitante come il frutto di decisioni manovrate più dagli strumenti della corruzione che da scelte liberamente sostenute.

Come emerso nel 2015 da un’indagine condotta dall’Fbi,  infatti, il paese votato per organizzare il mondiale fu il Marocco ma un versamento di tangenti per un importo pari a dieci milioni di dollari spinse la coppa verso il Sudafrica.

L’Italia si presentò col fregio di campione in carica come in Messico nell’86 e con Marcello Lippi, tornato in panchina dopo i due anni di Roberto Donadoni, licenziato dopo l’eliminazione agli Europei del 2008 rimediata ai calci di rigore con la Spagna,  deciso ad affrontare la competizione cercando un connubio  tra chi ha vinto quattro anni prima e le forze nuove suggerite dal campionato.

Era un equilibrio difficile da trovare, soprattutto perché i candidati a rimpiazzare i campioni del mondo, per qualità tecnica e personalità, si rivelarono inadeguati e Lippi si trovò nella stessa situazione sperimentata da Enzo Bearzot nel suo terzo mondiale alla guida degli azzurri ed ebbe lo stesso destino del tecnico friulano, infatti, l’Italia non riuscì a superare nemmeno il primo turno, ultima di un girone che la vede in affanno con formazioni non irresistibili come Paraguay, Nuova Zelanda e Slovacchia.

Era da trentasei anni, da Germania 1974, che gli azzurri non si arenavano al primo turno, per  un’amarezza sportiva sconosciuta a molti appassionati italiani.

Sono altre le nazionali che arrivarono alle semifinali, come l’Olanda, che ci ritornò dopo aver battuto un Brasile in buona parte vittima dell’incontinenza di Felipe Melo, protagonista negativo nelle azioni dei due gol olandesi nonché di una sacrosanta espulsione, la Germania, dopo aver strapazzato l’inconsistente Argentina guidata dal nuovo allenatore Diego Armando Maradona, mentre Uruguay e Spagna raggiunsero l’obiettivo soffrendo non poco per aver ragione, rispettivamente, della nazionale simbolo del calcio africano, il Ghana, e di un ostico Paraguay.

Non bastò un superlativo Diego Forlan a negare l’accesso alla finale agli Oranje, mentre la Germania si arrese al calcio latino delle Furie Rosse spagnole, che nell’atto decisivo s’imposero grazie alla zampata vincente di uno dei centrocampisti migliori di tutti i tempi.

Il gol di Andrès Iniesta portò per la prima volta nella storia la Roja sul tetto del mondo.