Il poeta che raccontò in dialetto la Roma dei papi…
Giuseppe Gioachino Belli nacque il 7 settembre 1791 a Roma, primogenito di Gaudenzio e Luigia Mazio.
Dopo la proclamazione della Repubblica francese nel 1798, il piccolo Gioachino si rifugiò con la madre a Napoli dove, per una serie di vicissitudini, visse nella miseria più nera.
Tornato al potere papa Pio VII, Gaudenzio Belli ebbe un buon incarico nel governo pontificio a Civitavecchia, all’età di tredici anni Gioachino fu mandato a scuola dai gesuiti al collegio romano e, rimasto presto orfano d’ambedue i genitori, ottenne modesti impieghi privati e pubblici.
Intorno al 1810, iniziò la sua carriera letteraria e ub quel periodo fondò l’Accademia Tiberina, inserita nel quadro della cultura locale, divisa fra sonetteria arcadica e gusto dell’antiquaria.
A venticinque anni sposò una ricca vedova, Maria Conti, dalla quale ebbe un figlio, Cito., un matrimonio caldeggiato dal cardinale Consalvi, un potentissimo prelato che trovò un’ottima sistemazione per il giovane Belli, xoa di cui il poeta aveva estremo bisogno.
Raggiunta una discreta agiatezza poté dedicarsi con maggiore impegno agli studi e alla poesia, un periodo durante il quale scrisse la maggior parte dei Sonetti romaneschi e compì anche numerosi viaggi, a Venezia , a Napoli, a Firenze e a Milano, stabilendo contatti e scoprendo alcuni testi fondamentali della letteratura sia illuministica che romantica.
Nel 1828 si dimise dalla Tiberina e, con un gruppo di amici liberali, apri in casa un gabinetto di lettura; ma dopo la morte della moglie nel 1837, il Belli ripiombò in gravi angustie economiche e morali, oltre a perdere la sua vena poetica.
Da quel momento in poi, salvo un periodo di ripresa avvenuta a seguito della caduta della Repubblica Romana da lui avversata, Belli si chiuse in un definitivo silenzio, arrivando a rinnegare tutta la sua produzione precedente, per paura che questa nuocesse alla carriera del figlio, impiegato nella amministrazione pontificia.
Per questo il poeta incaricò l’amico monsignor Tizzani di distruggere le sue poesie dopo la sua morte, che avviene a Roma il 21 dicembre 1863.
Ma l’amico decise di non eseguire la volontà del poeta, salvaguardando un inestimabile patrimonio di versi e anzi consegnando il corpus delle opere belliane al figlio di lui.
Quantitativamente superiore a quella in dialetto, ma di scarso rilievo, resta invece la produzione poetica in lingua: l’edizione completa, in tre volumi, è uscita soltanto nel 1975, col titolo Belli italiano.