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Allegro e dalla battuta sempre pronta, Gianduja è la maschera tipica del Piemonte nel periodo del Carnevale, la giacca di panno marrone, i calzoni verdi, il farsetto giallo e le calze rosse, mentre in testa porta il cappello a tricorno e una parrucca col codino.

La sua origine risale al primo decennio dell’Ottocento, quando il burattinaio Giovan Battista Sales fu costretto a interrompere le storie del suo personaggio Gerolamo, per le esplicite allusioni, anche se ben nascoste, a Napoleone e a suo fratello Gerolamo di Westfalia.

Dopo Sales i fratelli Lupi proseguirono con enorme successo le rappresentazioni delle avventure del burattino, nel corso del secolo Gianduja fu portato in teatro dall’attore Giovanni Toselli, che ebbe una grandissima notorietà.

Giôvan d’la dôja o Giovanni dal boccale, omaggio al suo debole per il succo d’uva, nacque ufficialmente nel 1808 sulle colline dell’astigiano, nel paese di Callianetto, erede del burattino impertinente ma saggio Gironi, costretto a emigrare a Torino per la sua lingua troppo lunga.

Gianduja è furbo, coraggioso, magari fintotonto all’occasione, ma con ben chiaro in testa che cosa vuole, ed esteticamente aveva una ” facia rôtonda e paciôcôna, neô sôta n’euj, pôret’ ns la front a la banda sinistra e nas ‘n po’ rôss” cioè una faccia rotonda e pacioccona, neo sotto un occhio e sulla fronte dalla parte sinistra e naso un po’ rosso.

In quegli anni Gianduja per gli italiani era il Piemonte e a partire dal 1862, con la fondazione della Società Gianduja, la tradizione del Carnevale di Torino ebbe una svolta, riassunta nel motto “Ridet beneficando” cioè ridere fa bene, dove si evidenziano le caratteristiche gioiose e spensierate associate alla beneficenza e al pensiero per i meno fortunati.

L’anima e il cuore della città continuano a esistere in Gianduja e anno dopo anno il suo viso sorridente e ottimista illumina la festa del Carnevale torinese ed è presente a commentare con la sua bonomia i fatti più importanti della storia e del costume italiano.

Dal 1893 Gianduja divenne una presenza meno incisiva, ma nel maggio del 1925 fu fondata la Famija Turinèisa e con essa la maschera tornò a essere il simbolo della tradizione risorgimentale e ottocentesca.

“Gianduja a tôrna Turin as dësvija” cioè Gianduja ritorna e Torino si sveglia, fu il motto del carnevale 1926 e da allora, tranne la parentesi fascista, Gianduja è stato visto come simbolo di fratellanza, comprensione e sottile umorismo.

Ogni anno, il Gianduja è eletto nel corso di una cerimonia solenne e da quel momento è totale il suo impegno far sì che le cose si muovano e l’allegria e il bene possano avere per una settimana qualche spazio in più, con al suo fianco la graziosa Giacometta, sua sposa, chiamata a condividerne gioie e fatiche in una perfetta unità d’intenti.

In Gianduja rivive l’anima del Piemonte che, nel segno della solidarietà e della tradizione, è destinata a resistere nel tempo intatta e forte come diceva il proverbio “Ai cascrà la Mole e Palass Madama, e Gianduja  sarà sempre viv përchè l’anima ‘d nòstr Piemônt a peul nen muire” cioè Crollerà la Mole e Palazzo Madama, e Gianduja sarà sempre vivo perché l’anima del nostro Piemonte non può morire.