Era il 1 maggio 1908 quando a Fontanelle, una frazione di Roccabianca, nel cuore della Romagna, nacque Giovannino Guareschi, uomo della Bassa,  in parte emiliano, in parte milanese e insubre.

Uno degli scrittori italiani più venduti nel mondo con oltre 20 milioni di copie, e uno dei più tradotti, grazie al personaggio di Don Camillo, il parroco che parla col Cristo in un paesino della Bassa reggiana, con avversario il sindaco comunista Peppone, diviso tra il lavoro nella sua officina e gli impegni della politica.

Eppure questo scrittore, dalla vita tanto singolare e movimentata, negli ultimi anni della sua vita amava trascorrere le vacanze in una verde vallata del Canton Ticino, a Cademario.

Il padre, Primo Augusto Guareschi, era uno stimato commerciante, mentre la madre, Lina Maghenzani, era la maestra elementare del paese.

Finite le scuole superiori, si iscrisse all’Università di Parma ed entrò nel Convitto Maria Luigia di Parma, dove nel 1922, conobbe Cesare Zavattini.

Nel 1925 l’attività del padre fallì e Guareschi andò a lavorare presso la Gazzetta di Parma, come correttore di bozze, chiamato da Zavattini, allora caporedattore del quotidiano, poi, nel 1931, divenne aiuto-cronista al quotidiano Corriere Emiliano, con un contratto di collaborazione fissa, tra articoli, novelle e rubriche, oltre a fare disegni di taglio satirico.

Nel 1934 partì per il servizio militare a Potenza, dove frequentò il corso allievi ufficiali, nel 1936 fu trasferito a Modena, dove in maggio fu promosso sottotenente di complemento e ricevette la proposta da Cesare Zavattini, che viveva a Milano, di lavorare in un nuovo giornale umoristico.

Fu così che Guareschi si trasferì a Milano, andando a vivere con la fidanzata Ennia Pallini in un monolocale in via Gustavo Modena, poi i due nel 1938 traslocarono in un appartamento più grande in via Ciro Menotti.

Dal 1936 al 1943 Guareschi fu capo redattore del quindicinale Bertoldo, rivista satirica edita da Rizzoli e diretta da Cesare Zavattini, rivolta agli strati sociali medio – alti, in concorrenza con il popolarissimo bisettimanale Marc’Aurelio.

Dopo la partenza di Cesare Zavattini, a causa di forti contrasti interni, la direzione fu affidata a Giovanni Mosca, con Giovannino Guareschi capo redattore e la rivista divenne settimanale, con tirature di 500-600 mila copie.

Fedele al suo carattere di bastian contrario, Guareschi sul Bertoldo iniziò a disegnare la serie delle vedovone, grasse e per nulla sensuali donne d’Italia, al posto delle donne belle ed eleganti dei giornali di allora.

La seconda guerra mondiale portò alla chiusura del Bertoldo nel settembre 1943, dopo un bombardamento anglo-americano che coinvolse la sede della Rizzoli.

Durante la guerra Guareschi, a causa di una sbornia procuratasi a causa della disperazione per la falsa notizia della scomparsa del fratello sul fronte russo, insultò Benito Mussolini e in seguito fu arrestato a causa di una delazione fatta da un convinto fascista che lo voleva far passare per le armi.

Come conseguenza, lo scrittore nel 1943 fu condannato al richiamo nell’esercito e terminò il conflitto con il grado di ufficiale di artiglieria.

Quando l’Italia firmò l’armistizio con le truppe alleate, Guareschi era in caserma ad Alessandria, ma si rifiutò di disconoscere l’autorità del re.

Fu arrestato e inviato nei campi di prigionia di Częstochowa e Benjaminovo in Polonia e poi in Germania a Wietzendorf e Sandbostel per due anni, assieme ad altri soldati italiani. Qui lavorò alla Favola di Natale, racconto musicato di un sogno di libertà nel suo Natale da prigioniero e scrisse Diario Clandestino.

Dopo la guerra Guareschi fece ritorno in Italia e nel 1946 fondò una rivista indipendente con simpatie monarchiche, il Candido, settimanale del sabato dove, con altre famose penne della satira italiana, curava numerose rubriche come Il Forbiciastro, che spigolava nella cronaca spicciola italiana, oltre ai racconti di Don Camillo e alla serie del Corrierino delle Famiglie.

Ma Guareschi era rimasto un irriducibile monarchico e non perse l’occasione di denunciare le truffe consumate ai danni della monarchia italiana e per il referendum istituzionale del 2 giugno 1946, sostenne apertamente la monarchia e denunciò i brogli che avrebbero ribaltato l’esito del voto popolare.

La profonda fede cattolica, l’attaccamento alla monarchia e il fervente anticomunismo resero lo scrittore uno dei più acuti critici del Partito Comunista Italiano, come dimostrano le vignette della serie Obbedienza cieca, pronta e assoluta, dove sbeffeggiava i militanti comunisti che lui definiva trinariciuti, che prendevano alla lettera le direttive che arrivavano dall’alto, nonostante i chiari errori di stampa.

Nelle elezioni politiche del 1948 Guareschi s’impegnò moltissimo affinché fosse sconfitto il Fronte Democratico Popolare, con frasi come “Nel segreto della cabina elettorale Dio ti vede, Stalin no”, e il manifesto con lo scheletro di un soldato dietro i reticolati russi, che diceva “100.000 prigionieri italiani non sono tornati dalla Russia. Mamma, votagli contro anche per me”.

Anche dopo la vittoria della DC e dei suoi alleati, Guareschi non smise di lottare, anzi arrivò al punto di attaccare la Democrazia Cristiana, che a suo parere non seguiva i principi cui si era ispirata, oltre ai governi di centrosinistra, cioè l’alleanza tra DC e PSI che, a partire dalla metà degli anni Sessanta, dominò oltre un decennio la politica italiana.

Nel 1950 lo scrittore venne condannato con la condizionale a otto mesi di carcere nel processo per vilipendio al presidente Luigi Einaudi.

Infatti, una serie di vignette sul Candido aveva sottolineato che Einaudi, sulle etichette del vino di sua produzione, il Nebiolo, metteva in evidenza la sua carica di presidente.

Intanto lo scrittore con la moglie e i figli Alberto e Carlotta si era trasferito da Milano a Roncole Verdi, dove aveva pensato di vivere in una casa che, per gli ampliamenti senza fine, venne ironicamente chiamata L’Incompiuta.

Quattro anni dopo, nel 1954 Guareschi fu condannato per diffamazione su una denuncia di Alcide De Gasperi, infatti lo scrittore era venuto in possesso di due lettere autografe del politico trentino risalenti al 1944 in cui aveva chiesto agli alleati di bombardare la periferia di Roma allo scopo di demoralizzare i collaborazionisti.

Per Guareschi le missive erano autentiche e aveva sottoposto le lettere addirittura a una perizia calligrafica affidandosi a un’autorità in materia, il dottor Umberto Focaccia.

Al processo, il suo avvocato difensore chiese ai giudici di sottoporre le lettere a un’ulteriore perizia, ma il collegio giudicante respinse l’istanza dicendo che “le richieste perizie chimiche e grafiche si appalesano del tutto inutili, essendo la causa sufficientemente istruita ai fini del decidere”.

In tal modo le uniche prove accettate furono le parole di De Gasperi, che aveva sporto personalmente querela sostenendo che le lettere erano assolutamente false.

Il 15 aprile Guareschi fu condannato in primo grado a dodici mesi di carcere, ma non presentò ricorso in appello dicendo che “No, niente Appello. Qui non si tratta di riformare una sentenza, ma un costume. (…) Accetto la condanna come accetterei un pugno in faccia: non m’interessa dimostrare che mi è stato dato ingiustamente”.

Divenuta esecutiva la sentenza, alla pena fu accumulata anche la precedente condanna e Guareschi venne recluso nel carcere di San Francesco del Prato a Parma, dove rimase per 409 giorni, cui si sommano i sei mesi di libertà vigilata ottenuta per buona condotta, ma rifiutò in ogni momento di chiedere la grazia.

Nel 1956 le pessime condizioni di salute, aggravate dal carcere, spinsero lo scrittore a trascorrere lunghi periodi a Cademario, nel Canton Ticino, e un anno dopo si ritirò da direttore del Candido rimanendo collaboratore della rivista fino alla sua chiusura nel 1961.

Un anno dopo la fine del Candido, Guareschi ricevette l’invito da parte di Nino Nutrizio a collaborare col suo quotidiano, La Notte e prese la sua decisione con queste parole “Ritengo La Notte l’ultima isola di resistenza rimasta in campo nemico e mi auguro, come italiano, come giornalista e come amico, che tu possa ancora resistere ai liberatori di Milano”.

Oltre a collaborare a vari periodici con disegni e racconti lo scrittore fino al 1966 gestì la rubrica di critica televisiva Telecorrierino delle famiglie su Oggi Illustrato, inoltre pubblicò gli ultimi racconti della serie di Don Camillo.

Nel 1968 a Guareschi venne proposta la direzione di un nuovo Candido da parte di Giorgio Pisanò, ma il 22 luglio morì prima di poter ricominciare a dire la sua a causa di un attacco cardiaco nella sua casa di Cervia.

I suoi funerali, che avevano la bandiera con lo stemma sabaudo sul feretro, vennero disertati da tutte le autorità, tranne che dal direttore della Gazzetta di Parma Baldassarre Molossi, Giovanni Mosca, Carlo Manzoni, Nino Nutrizio, Enzo Biagi ed Enzo Ferrari, mentre Umberto II dall’esilio gli conferì l’onorificenza di Grand’Ufficiale della Corona d’Italia.