Il borgo di Prasomaso, in provincia di Sondrio, sopra il paese di Tresivio, è celebre per le strutture del sanatorio Umberto I, la cui storia è davvero unica…

Tra fine Ottocento e primi decenni del Novecento nell’immaginario popolare il male più subdolo e temibile era la tisi, o mal sottile, più dottamente chiamata tubercolosi, che ben influenzava quella sensibilità tardo-romantica, con le sue tinte crepuscolari.

Non esistevano allora gli antibiotici, e la lunga lotta contro la malattia era combattuta solo con una lunga degenza in luoghi climaticamente buoni, associata a una dieta idonea ad aumentare le resistenze dell’organismo.

All’inizio del secolo, proprio per combattere la tisi, fu costruito il grande sanatorio a Prasomaso, denominato Umberto I.

La strada del borgo allora arrivava solo fino alla frazione di Sant’Abbondio, per cui si dovettero costruire gli otto chilometri di strada necessari a collegare Prasomaso.

Il sanatorio, edificato su un’area di circa sessantamila metri quadrati, fu progettato dagli architetti Brioschi e Giachi, mentre la Società per i sanatori popolari di Prasomaso s’impegnò a costruire a proprie spese non solo la strada da Sant’Antonio a Prasomaso, ma anche l’altro parte della strada per accedere in carrozza da Tresivio a Prasomaso, destinato ad allacciare le due frazioni comunali di Sant’Abbondio e Sant’Antonio.

Nel 1927 iniziò la costruzione di un secondo complesso sanatoriale, detto il Sanatorio dell’Alpina, che si affiancò a quello già esistente, insieme divennero un microcosmo nel quale vivevano quasi mille persone.

In inverno, infatti, c’erano 100 abitanti di Tresivio che lavoravano nel sanatorio, accanto ad una sessantina di donne, di cui 20 di Tresivio, mentre i pazienti raggiunsero la cifra di 300 adulti e 220 bambini.

La struttura, su cui aleggiano storie e leggende locali, e che dopo il 1970 fu adibita a colonia estiva, oggi è purtroppo in stato di abbandono e, soprattutto nelle ore notturne, incute un certo timore, tra le vetrate del padiglione d’ingresso che accolgono ancora i rari visitatori, suscitando stupore per il magnifico panorama delle Orobie che si spalanca davanti ai loro occhi e per le testimonianze del passato che qui, dopo tanto tempo, sembrano riprendere vita, come il vecchio cinema e le sue sedie di legno, gli arredamenti e i letti, simboli dei tempi che furono.