Scrittore dall’animo tormentato, Cesare Pavese ebbe un’esistenza sempre legata alle Langhe, la sua terra, e alle contraddizioni della Torino industriale, come raccontato in La bella estate, che vinse il Premio Strega nel 1950.
Pavese nacque a Santo Stefano Belbo, nelle Langhe, in provincia di Cuneo, il 9 settembre 1908.
Il padre, cancelliere del tribunale di Torino, aveva un podere a Santo Stefano Belbo ma ben presto la famiglia si trasferì a Torino e Cesare rimpianse sempre i paesaggi e i luoghi del suo paese, simbolo di serenità e luogo perfetto dove trascorrere le vacanze.
Già scontroso e introverso, Pavese amava i libri e la letteratura, oltre a lunghe passeggiate nei boschi e l’osservare uccelli e farfalle.
Cesare studiò a Torino ed ebbe professore al liceo Augusto Monti, celebre scrittore che lo spinse a interessarsi alla letteratura straniera.
Dopo gli studi liceali, Pavese s’iscrisse alla facoltà di Lettere e fece fruttare le sue conoscenze lavorando nel ruolo di traduttore di scrittori americani come Sinclair Lewis, Herman Melville e Sherwood Anderson.
Nel 1931 Cesare perse la madre. In quel periodo oltre a continuare le traduzioni insegnava saltuariamente in istituti scolastici sia pubblici che privati e fu additato come intellettuale antifascista per aver cercato di proteggere una donna iscritta al partito comunista, per cui venne condannato al confino.
Pavese passò così un anno a Brancaleone Calabro, dove iniziò a scrivere il diario Il mestiere di vivere, che fu pubblicato postumo nel 1952.
Nel 1934 divenne il direttore della rivista Cultura e, tornato a Torino, pubblicò nel 1936 la prima raccolta di versi, Lavorare stanca, ignorata dalla critica, mentre il lavoro di traduzione degli scrittori inglesi e americani proseguiva e cominciò a collaborare in maniera attiva con la giovane casa editrice Einaudi.
La sua produzione letteraria migliore risale al periodo tra il 1936 e il 1949, mentre si era rifugiato durante la guerra a casa della sorella, nel Monferrato, periodo raccontato in La casa in collina.
A questo periodo risale un primo tentativo di suicidio quando, dopo che era tornato in Piemonte, seppe che la donna di cui era perdutamente innamorato si è sposata.
Finita la guerra, Cesare si iscrisse al Pci e pubblicò il saggio I dialoghi col compagno nel 1945 sull’Unità.
Nel 1950 uscirono La luna e i falò, sul ritorno impossibile e la Resistenza, e La bella estate, che fu il vincitore del Premio Strega nello stesso anno.
La propensione al suicidio che Pavese aveva manifestato dall’adolescenza ebbe la meglio il 27 agosto 1950 quando, a 42 anni, lo scrittore si tolse la vita in una camera d’albergo a Torino.
Sulla prima pagina di una copia dei Dialoghi con Leucò scrisse “Perdono a tutti e a tutti chiedo perdono. Va bene? Non fate troppi pettegolezzi” come epigrafe di una vicenda editoriale e umana molto tormentata.