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“Antonio Ligabue rappresenta ancora oggi uno dei più clamorosi “errori” di valutazione da parte dei grandi storici dell’arte italiani, che si sono sempre concentrati su altri artisti sponsorizzati dal soffocante mainstream devoto ad una certa parte politica e socioculturale.

Non fu sufficiente per Ligabue il fatto di aver rotto una bottiglia in testa ad un soldato tedesco (dopo aver agito da interprete per la Wehrmacht), il che invece gli costò un nuovo ricovero psichiatrico.

Di Antonio Ligabue sono stati evidenziati, dai pochi che si sono interessati a lui, i soggetti delle opere, trascurando in larga parte la straordinaria capacità tecnica.

Da questa mostra, si intende allontanarsi dalla stereotipata visione del “matto”, del personaggio mitologico a cui ha fatto un gran bene il cinema (con i due film del 1977 con Flavio Bucci protagonista e del 2020 con Elio Germano), per riportare il suo disagio a una lunga tradizione che risale all’800, da Ensor a Munch e fino a Van Gogh.

Giovanni Faccenda è il curatore della mostra Ligabue (dal 26 gennaio al 26 maggio alla Promotrice delle Belle Arti), la prima realizzata con la Fondazione Augusto Agosta Tota per Antonio Ligabue a quasi un anno dalla scomparsa di Augusto Agosta Tota, che dell’artista fu amico, promotore e studioso.

Una mostra che si annuncia come uno dei grandi eventi del 2024, con oltre 90 opere (71 dipinti, 8 sculture e 13 disegni provenienti da collezioni private) che illustrano la vita tormentata e la variegata produzione di un artista «eccentrico» e per molti versi incompreso, ma post mortem amatissimo dal pubblico.

In mostra sono alcune delle sue immagini più note, tra cui i suoi celebri «animali»: «Sono il suo mondo, li aveva studiati da bambino nei musei e lui stesso si autodefinisce “pittore di animali”», spiega Faccenda.

«Ligabue si immedesima negli animali feroci trovando una sorta di identificazione, un suo personale riscatto rispetto a coloro che lo facevano soffrire. La tigre che azzanna, da lui spesso rappresentata, è in realtà un autoritratto, carico di una ferocia che lui stesso non avrebbe avuto il coraggio o desiderio di esprimere nella vita reale.

Insieme, in mostra sono anche gli altrettanto iconici autoritratti: «Una delle novità della mostra sono proprio alcune opere non viste da molto tempo e alcuni inediti. Ci sono autoritratti che scansionano meglio la sua vita, come una sorta di diario. In alcuni si rappresenta con la tempia insanguinata, testimonianza di quando si batteva con una pietra convinto che così sarebbe uscito dalla testa il male che lo attanagliava.

Il naso aquilino, invece, lo rendeva più vicino all’immagine di artista maledetto. Ma se li vogliamo leggere in modo più intimo e profondo, sono il simbolo delle ferite inferte da chi lo derideva e gli negava un piatto di cibo», spiega Faccenda.

«Ciò che è importante che termini è il fraintendimento per il quale Ligabue è un pittore “naif”, laddove è certo un pittore autodidatta ma che ha compiuto una lunga ricerca. Altro fraintendimento duro a morire è il suo debito rispetto a Van Gogh, della cui esistenza invece sapeva a stento».

E conclude: «Ligabue ha ancora una sua straordinaria attualità, e dimostra che la gente non ha imparato nulla, soprattutto in Italia. Si pensi al caso della grande poetessa Alda Merini, accomunata a Ligabue da diversi fattori. Entrambi hanno vissuto il proprio disagio e sono stati a lungo emarginati, prima di riuscire a conquistare finalmente l’attenzione di molti».

Antonio, figlio di una donna bellunese emigrata a Zurigo, non conobbe il vero padre e fu riconosciuto da tale Bonfiglio Laccabue di Gualtieri, che sposò la madre nel 1901.

Dato in affidamento a una famiglia svizzera, peraltro anch’essa povera, nel pur ricco Paese elvetico, visse in condizioni di estrema povertà tanto da sviluppare il rachitismo, a cui si aggiunsero altri problemi. Fu in qualche modo salvato in gioventù da un pastore evangelico da cui ricevette una certa istruzione.

Espulso dalla Svizzera, visse a Gualtieri svolgendo umili e spesso pesanti lavori non adatti al suo fisico malato. La sua vita cambiò dopo un incontro con Renato Mazzacurati.

Dagli inizi degli anni ’30, pur con alti e bassi, poté dedicarsi alla pittura, ma solo dopo il 1957 raggiunse una certa agiatezza tale da permettersi di comprare una spaziosa berlina francese (SIMCA ARIANE) e avere vari autisti personali con cui sfogava, si dice, il suo carattere irascibile.

La Promotrice delle Belle Arti è un Ente la cui nascita risale al 1842 per volontà di Re Carlo Alberto.

Si trova nel parco del Valentino (accesso vietato ai mezzi a motore) alle spalle del Castello seicentesco, in via Balsamo Crivelli 11.

Telefono: 011/6692545. Orari: dal martedì alla domenica 10-20. Biglietti da 14 a 12 € con varie agevolazioni.

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