parrozzo orizzontale

Un dolce che unisce il Natale alla poesia del Vate Gabriele d’Annunzio…

In Abruzzo la cultura del pane affonda la sua storia in una tradizione secolare, risalente ai tempi, quando nelle campagne ogni famiglia preparava quest’alimento per il sostentamento quotidiano.

Non potendo usare la farina di grano, destinata al pane bianco delle classi sociali più abbienti, i contadini preparavano nei forni a legna delle loro modeste case delle pagnotte di forma semisferica con la farina di granturco, che erano chiamate pane rozzo.

È proprio dalla distorsione di quest’appellativo che nacque il parrozzo, un dolce natalizio ideato negli anni Venti del Novecento dal pasticcere pescarese Luigi D’Amico, caro amico di Gabriele d’Annunzio, che per primo assaggiò la sua preparazione.

L’idea che mosse D’Amico fu tanto semplice quanto efficace, ed era di riprodurre in una versione dolce l’antico pane delle mense contadine, sostituendo il giallo del mais con delle uova arricchite da farina di mandorle, rimpiazzando il colore scuro dato dalla bruciatura della crosta con una deliziosa copertura di cacao da aggiungere a preparazione ultimata.

Il risultato fu un dolce dal morbido e fragrante interno, ricco di spiccate sensazioni di mandorla amara e scorza d’arancia, racchiuso da un sottile strato di croccante strato di cioccolato fondente fuso.

La prima persona alla quale D’Amico fece assaggiare il parrozzo fu Gabriele d’Annunzio, infatti glielo inviò a Gardone Riviera, dove il poeta viveva nel Vittoriale, il 27 settembre 1927 con una lettera che diceva  “Illustre Maestro questo Parrozzo il Pan rozzo d’Abruzzo vi viene da me offerto con un piccolo nome legato alla vostra e alla mia giovinezza”.

Il dolce trovò un ampio consenso da parte del poeta che, dopo averlo assaggiato, scrisse a D’Amico questo sonetto in dialetto “È tante ‘bbone stu parrozze nov e che pare na pazzie de San Ciattè, c’avesse messe a su gran forne tè la terre lavorata da lu bbove, la terre grasse e lustre che se coce e che dovente a poche a poche chiù doce de qualunque cosa doce . Benedette D’Amiche e San Ciattè …”

Oggi, sulla scatola del Parrozzo, compaiono i versi scritti dal poeta pescarese che dicono  “Dice Dante che là da Tagliacozzo, ove senz’arme visse il vecchio Alardo, Curradino avrie vinto quel leccardo se abbuto avesse usbergo di Parrozzo”.

Il parrozzo ha il suo naturale abbinamento nell’Aurum, un liquore abruzzese a base d’arancio, frutto dal quale prende il nome, che risale alla parola latina aurantium.

Adesso il parrozzo, prodotto anche industrialmente con tecnologie che consentono una lunga conservazione, ha un discreto successo commerciale soprattutto negli Stati Uniti e in Canada, ed è facilmente reperibile nella grande distribuzione dei supermercati abruzzesi.

Ma il vero parrozzo è quello preparato nei piccoli laboratori di pasticceria, dove le limitate produzioni ricalcano quello spirito artigianale che resta un elemento fondante di questo dolce.